San Casciano è un ridente borgo toscano sulle verdi colline del Chianti.
Un
paesino colorato e tranquillo che non raggiunge i venti mila abitanti. Volti sorridenti ed amichevoli che si fermano nella piazzetta centrale, vero e proprio fulcro della
movida locale.
Sembra di essersi materializzati in un film di Pieraccioni.
Passeggiando nella stradina che dalla piazzetta si snoda nel piccolo centro, mi ritrovo davanti ad un’umile insegna, una vetrinetta dalla quale si possono scorgere tavolini apparecchiati, salumi e bottiglie di vino, schierate come soldatini in attesa della battaglia.
La Cantinetta del Nonno. Leggo il menù affisso all’entrata ed immediatamente il mio stomaco reagisce con un brontolio inappellabile. Salumi e formaggi tipici, zuppe ed intingoli a base di cavolo nero.
Mi siedo ad un tavolino di legno, su una sedia semplice, come quelle che vedi nei quadri di Van Gogh.
Ed immediatamente il mio sguardo viene rapito da un quadro, che domina la sala.
Un dipinto ad olio abbozzato, non curato nei dettagli, molto energico.
Rappresenta cinque anziani signori seduti intorno ad un tavolo, con espressioni diverse. Uno di loro sta mescendo il vino. Il suo volto è conosciuto, molto conosciuto.
Un brivido ghiacciato mi percorre la schiena e le immagini mi si delineano immediatamente nella memoria.
E’ Pietro Pacciani, il tristemente famoso Mostro di Firenze; e quelli, i suoi compagni.
Sì, sì, e l’omino sulla destra, con la mano sulla fronte, è il Vanni, quello che al processo cominciò dicendo: « Io sono stato a fa' delle merende co' i' Pacciani ».
Sedici delitti efferati. Otto coppie di giovani massacrate. Dal 1968 al 1985. Proprio in queste zone.
Macellai nati in queste terre. Gente insospettabile, umile, ignorante. Gente semplice. Trasformata in mostri. Qual è il meccanismo che genera la follia omicida? Qual è il segreto? Perché?

Mi rendo conto di essere in apnea. Finisco velocemente la bistecca, pago, butto un’ultima occhiata al dipinto, ed esco.
Mi manca l’aria. Quasi di corsa vado al parcheggio, prendo l’auto e corro via più lontano possibile da quei pensieri.
Fermo la macchina in prossimità di un tornante. Scendo e guardo le colline sottostanti. Respiro profondo. Mi faccio riempire di ossigeno e di verde. Sorridendo, guardo il cielo blu, testimone di tutto, mentre una lacrima mi scorre lentamente sul viso.