"Decine di migliaia di americani non dovranno più vivere mentendo”. Con questa dichiarazione il presidente americano Barack Obama ha firmato la legge che rigetta la regola “Don’t Ask, Don’t Tell” e ammette anche i gay dichiarati al reclutamento nelle forze armate.
“Don’t ask, don’t tell” era già una norma progressista, votata da un Congresso a maggioranza democratica e firmata dal presidente Bill Clinton nel 1993. Era un primo compromesso con le forze armate, volto a permettere l’arruolamento dei gay. Per evitare un confronto duro con la tradizione militare si era deciso di ammettere solo gli omosessuali non dichiarati. “Non dirmelo e non te lo chiederò”, appunto. Molti gay e lesbiche sono già in divisa, ma 13mila sono stati respinti dagli uffici di reclutamento o espulsi dalle forze armate. La nuova legge spiana la strada all’ammissione di tutti gli americani, indipendentemente dal sesso e dall’inclinazione sessuale, dichiarata o non dichiarata.
La magistratura americana aveva già forzato la mano alla politica.
A settembre, poco dopo un primo voto negativo al Senato, un giudice a Tacoma (Washington) ha fatto riammettere nell’aviazione il maggiore Margaret Witt, lesbica dichiarata. Una volta creato questo precedente, il 12 ottobre il giudice distrettuale Virginia Phillips (corte distrettuale di Riverside, California) ha emesso una sentenza rivoluzionaria: ammessa l’incostituzionalità dell’esclusione dei gay, ha ordinato al Pentagono di non opporsi al loro reclutamento. Obama, in piena campagna elettorale, aveva chiesto alla corte di Riverside di rivedere la sua sentenza, in attesa dell’appello, così da favorire una soluzione politica e non giudiziaria del caso. Ora è puntualmente arrivata anche la soluzione politica.
Quanto è profonda questa riforma delle forze armate? In pratica cambia poco: i gay ci sono già in tutte le branche della difesa statunitense. Culturalmente cambia molto. E la svolta è paragonabile all’ammissione delle donne e delle minoranze etniche nelle forze armate. La legge entrerà in vigore fra 60 giorni. E spetta ora agli ufficiali preparare culturalmente i loro soldati (uomini e donne) ad accettare i nuovi commilitoni.