Lunedì 10 maggio presso l’
Università Bicocca si è tenuto il seminario
“Donne in attesa”. Alessandra Casarico docente in
Bocconi e coautrice con Paola Profeta del libro che porta lo stesso titolo del seminario chiarisce ironicamente che
l’attesa non si riferisce alla gravidanza ma al fatto che i diritti delle donne tardano ad essere riconosciuti.
L’aula è una foto in miniatura della società esterna, fatte le dovute proporzioni dove ci sono 7 donne brillanti e preparate che espongono soluzioni semplici ed efficaci; di uomini che ascoltano ce ne sono solo 4 su 30 persone presenti.
Poche chiacchiere, i numeri la fanno da padrone.
Secondo l’indice Global Gender Gap l’Italia è al 72° posto su 134 paesi presi in esame: meglio di noi Sudafrica, Filippine, Lesotho, Argentina.
Il 67% delle madri italiane tornerebbe a lavorare se potesse, il 25% delle donne è insoddisfatta della suddivisione del lavoro all’interno della coppia, infatti una donna che si occupa anche della casa lavora circa 80 minuti in più al giorno rispetto ad un uomo.
I figli probabilmente sarebbero d’accordo con le mamme. Prima di tutto il tasso di fecondità è direttamente proporzionale al tasso di lavoro femminile:
dove le donne hanno più possibilità di lavorare nascono più bambini. Dove ci sono più donne al potere si investe di più in salute, istruzione e politiche sociali. E per quanto riguarda la cura della prole, ebbene le donne che non lavorano dedicano in media 86 minuti al giorno ai figli, quelle che lavorano ne dedicano 74. Il padre potrebbe fare la differenza con 12 minuti, almeno per andare in pareggio.
Infine
le proposte: servizi, agevolazioni fiscali, congedi di paternità, riforme. Ma quanto costano? Hanno già calcolato tutto:
permettere a 100.000 donne di lavorare, il PIL aumenterà dello 0.28% e le politiche per il lavoro femminile e la famiglia le finanzieranno le donne stesse.