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Le elezioni parlamentari in Iraq non hanno dato al Paese una maggioranza chiara. A tre mesi dalla fine dello spoglio delle schede, a Baghdad non c’è ancora un governo. Però sono già nella storia per altri motivi: non solo perché la popolazione è andata a votare in massa (il 62% di affluenza) nonostante il grave rischio di attentati. Ma anche per le 1800 candidate donne. Mille-e-ottocento sono tantissime. E il 25% del parlamento è, per legge, tinto di rosa, come suggerito a suo tempo dalla Casa Bianca, per evitare discriminazioni di genere.
L’Iraq è un Paese insolito per le donne. Oltre ad essere ancora un posto molto pericoloso per tutti, in epoche molto recenti, anche sotto la dittatura di Saddam Hussein, era un luogo relativamente aperto all’emancipazione femminile, ma da quando è più democratico... i diritti delle donne sono meno rispettati. Non che prima stessero meglio: decine, centinaia di migliaia di bambine, ragazze, anziane sono state uccise dalle forze armate di Saddam Hussein, ma non in quanto donne. Sono state assassinate perché curde, sciite o oppositrici del regime del partito unico Baath. E’ solo da quando la dittatura è stata rovesciata che persecuzioni e discriminazioni sono maggiormente rivolte alle donne, proprio in quanto donne, da parte degli integralisti islamici. Sono i paradossi di quella regione, in cui la repressione non arriva solo dallo Stato, ma anche e soprattutto dalle famiglie. Le ultime elezioni, dunque, sono state un ribaltamento in positivo di una situazione che stava peggiorando, proprio perché le tradizioni locali, una volta libere di esprimersi, diventano più oppressive: l’Iraq, secondo l’ultimo rapporto Freedom House, è uno dei tre Paesi della regione (assieme a Yemen e Territori Palestinesi) in cui la condizione femminile regredisce invece che progredire.
La Costituzione, approvata nel 2005, garantisce uguali diritti per i due sessi. Dal 2008 le donne sono ricomparse sulla scena politica, grazie al ristabilimento di standard di sicurezza più elevati. Ma ancora nell’anno accademico 2007-2008, si calcola che il 30% delle famiglie abbia ritirato le proprie figlie da scuole superiori e università per timore di violenze. Il 15% delle donne sono sposate prima di raggiungere la maggiore età (dato fornito dallo United Nations Development Program). Quasi il 23%, dunque quasi un quarto delle donne, ha subito aggressioni fisiche a sfondo sessuale (dato dell’Organizzazione Mondiale della Sanità). In un solo semestre del 2007, analizzato dalla missione Onu in Iraq (Unami), ben 34 sono state uccise in “delitti d’onore”: assassinate perché ritenute uno “scandalo” per la famiglia.
Fa eccezione il Kurdistan iracheno, una vera e propria isola felice nell’Iraq, sia per il rispetto dei diritti civili e della libertà di religione, che per i diritti delle donne. Il tasso di violenza sessuale, in quella regione autonoma, è meno della metà della media nazionale. Le donne curde sono meno vincolate da tradizioni religiose, più inserite nel mondo del lavoro e più partecipi alla vita politica. Proprio la regione martirizzata per decenni da Saddam Hussein, per motivi etnici e politici, è ora un esempio per il resto del Paese.