Presentato a Parigi pochi giorni fa, il rapporto Osce, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, “Closing the gap, sottotitolato Act now”, rivela, senza troppe sorprese, che l’Italia ha uno dei peggiori tassi di occupazione femminile in Europa.
Il nostro Paese si colloca al trentaduesimo posto nella classifica per il livello di partecipazione femminile nel mercato del lavoro: 51% contro una media Ocse del 65%, dopo di noi solo Turchia e Messico.
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Nonostante i risaputi successi delle donne che, non solo si laureano in maggior numero ma con votazioni migliori, ci troviamo di fronte ad uno vero e proprio “
spreco di forza lavoro”. L’impegno delle donne nella cura di casa e famiglia, una sotto rappresentanza nei consigli di amministrazioni, nelle posizioni apicali delle aziende e il contesto politico poco attento alle politiche sociali sono i fattori determinati di questa non-crescita.
Non si tratta qui di fare del femminismo o di privilegiare le donne ma solamente di una questione di diritto, “l'eguaglianza tra i sessi nel mondo del lavoro viene prima di tutto”, ha sottolineato anche il ministro Fornero intervenuta al Forum di presentazione.
Il rapporto Osce fortunatamente lancia un vero piano di azione, da qui il nome act now perché, afferma, “se ci si spingesse con più attenzione ad una Womeconomics ci sarebbe un beneficio economico generalizzato soprattutto per l’Italia”. E se, continua, “a parità di altre condizioni, nel 2030 la partecipazione femminile al lavoro raggiungesse gli standard maschili, la forza lavoro italiana crescerebbe del 7% e il Pil pro-capite crescerebbe di 1 punto percentuale l'anno nel nostro Paese”.
Donne e uomini siano uguali nel mondo del lavoro, prima che di benefici economici si tratta di diritto.