Sono tornato. Sono tornato da molto lontano. Sono tornato da luoghi che ho visto, che ho apprezzato e ho preferito abbandonare.
Sono tornato a casa, anche questa settimana.
Si parte il lunedì con un fagotto di idee e si ritorna il venerdì con il sacchetto di indumenti da lavare.
Tornare a casa è rinnovarsi. Tornare a casa è ricaricarsi, come si fa con il cellulare la sera, che lo si attacca alla presa elettrica.
Se avete tempo prendetevi un’ora e andate in un aeroporto, al terminal arrivi.
E guardate la gente che torna. Leggete loro gli occhi, i movimenti, e gli abiti.

C’è l’uomo d’affari che ritorna con sua valigetta e l’abito grigio. Sta già parlando al telefono (ha dovuto, purtroppo per il suo budget, spegnerlo in volo). Nessuno lo sta aspettando, corre in direzione dei parcheggi dove troverà la sua auto per tornare a casa. Il suo sguardo è spento, grigio, come un monitor appannato. Guarda altrove, lontano, da nessuna parte.

C’è la coppia infreddolita e abbronzata, con pantaloncini e infradito, con la mente ancora in vacanza, che si stringe stretta, portando i trolley colorati, con gli sguardi che convergono in un arco di passione e di desiderio. Non hanno fretta di tornare, ridono, scherzano e si amano.
C’è la grassa signora con le valigie piene di salumi e formaggi. Ha lo sguardo alto che cerca il figlio venuto a prenderla. E’ rossa dallo sforzo e dalla gioia. Ha ancora nelle ossa il ricordo del suo paese e delle sue radici . Ha ancora addosso il profumo della sua gente.
E ci sono anche io, con lo sguardo rivolto al tabellone delle partenze.
E’ bello ritornare e, dopo un solo attimo, ripartire.