
Esattamente 1919 anni dopo che Giulio Cesare attraversò il Rubicone, un giovane ed energico giornalista francese, il
10 gennaio 1870, varcò a passi veloci la soglia di casa Bonaparte, per l’esattezza di Pierre Bonaparte, potente cugino di Napoleone III.
Erano le 13 e 15. Un lunedì particolare per Victor Noir, collaboratore del giornale comunardo La Marseillaise.
Particolare perché qualche giorno dopo, Victor si sarebbe dovuto sposare.
Entrò nel salone con la baldanza di un ventiduenne allegro e pieno di speranze, carico di vita e di idee.
L’incontro con Pierre Bonaparte fu rapido e fatale. Dopo una breve e violenta discussione il principe freddò Victor con un colpo di pistola al petto.
Il giovane cadde supino, stringendo nella mano destra il suo cilindro.
Con lui caddero i suoi sogni, i suoi desideri, il suo amore per la Francia e per la vita.
Immobile, sul pavimento, le labbra e gli occhi socchiusi, esalò l’ultimo respiro.
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In questa esatta posizione,
Jules Dalou, scolpì nel bronzo la statua funebre del giovane Victor, che ora adorna il sepolcro al cimitero di Père Lachaise a Parigi.
Piove, e come al solito non ho portato l’ombrello. Ho freddo e ho i vestiti inzuppati. Il cielo è grigio piombo; gli alberi con i loro rami scheletrici rendono ancora più suggestivo l’ambiente.
Silenzio intorno a me, è quasi sera, nessuno all’orizzonte.
Un corvo si posa su una lapide e mi fissa. Immobile come tutto quello che mi sta intorno.
Abbasso lo sguardo e contemplo la statua di bronzo ai miei piedi.
E’ triste morire a ventidue anni. E’ triste morire una settimana prima di sposarsi. E’ veramente triste.
Osservo la statua e noto una certa ed insolita protuberanza nei pantaloni, quella che comunemente viene detta “la protubérance des entrejambes”.
Mi strofino gli occhi: no, non è un’allucinazione.
Il “pacco” di Victor Noir è insolitamente grande e lucido in confronto al resto del corpo; come fosse stato ripetutamente sfregato.A dispetto del luogo e della tragedia, sorrido divertito.
Guardo il volto della statua che sembra ammiccarmi, con malizia.
“Curioso, vero?”
Mi volto. Chi ha parlato è un ometto tutto vestito di nero. Ha una pala in mano. E gronda di acqua.
“Sono uno dei custodi del Père Lachaise e lui è il superdotato.”
“Grazie” rispondo. “Ma perché è così lucido lì?” Le parole mi escono senza che abbia il tempo di frenarle. Arrossico per la mia morbosità.
Sembra non accorgersene.
“Vengono qui e si strusciano sopra. Porta fortuna farlo. Si dice che se una donna si strofina sopra la sua virilità, diventerà molto più fertile ed avrà una vita sessuale più vivace ed appagante.”
Lo guardo esterefatto.
“Pensi che l’anno scorso abbiamo persino dovuto recintare la tomba, per preservarla da ulteriore deterioramento.”
“Capisco” rispondo “la ringrazio.”
Osservo nuovamente la scultura.
Il mio sguardo corre per tutto il corpo del giovane giornalista ucciso. Mi soffermo ancora lì, tra le sue gambe.
La tristezza ha lasciato il posto ad un dolce ironico sentire.
Mi immagino una giovane donna cavalcare il bronzo supino. Perdo il senso del tempo.
Sento gracchiare poco lontano. Alzo gli occhi. Ha smesso di piovere.
Mi volto. L’omino è sparito.
Poco più in là il corvo che, dopo avermi fissato ancora per un attimo, si gira incurante e spicca il volo.